Un tempo le campagne attorno Rignano Garganico pullulavano di “cuzze” ossia di contadini della montagna. Quelli della sottostante piana venivano chiamati, invece, “cafoni”. Questi ultimi si ritenevano, a torto, migliori dei primi, perché avevano un salario fisso e la ‘crascia’ (abbondanza) per sfamare la famiglia. Spesso gli stessi, in specie i giovani, riuscivano a fare qualche gradino in su rispetto alla loro condizione bracciantile e impiegati alle macchine, all’inizio trainate dagli animali, e in seguito da trattori a motore.
Ed è a questo punto che, dopo aver seguito l’apposito corso di specializzazione ed ottenuta la patente di tipo ‘A’, diventavano trattoristi o semplicemente motoristi, con una retribuzione ed uno statussociale migliore. Ciò nonostante non si sentivano liberi come i “cuzzi”, in quanto a comandarli c’era sempre il padrone. Fino agli anni ’50 /’60, la montagnadi Rignano, veniva coltivata a palmo a palmo, ovviamente dopo aver spietrato a puntino e dissodato il terreno, che era molto fertile, per via del poco sfruttamento. Vi si seminava di tutto, dalle graminacee ai legumi, dalle patate agli ortaggi, tirati su dall’acqua delle cisterna o dei piloni (riserve naturali, che si formavano sulle rocce piatte a causa del fenomeno carsico) di cui era solitamente fornito ogni fondo, compreso il pagliaio (costruzione in pietra di forma circolare), dove vi ci si ricoverava in caso di pioggia o anche la notte, specie quando si mieteva o gli altri frutti erano maturi (legumi, uva, ciliegie, fichi, ecc.) , allorché la custodia era d’obbligo.
Quando la natura del terreno permetteva, vi si coltivava anche qualche quadro di vite. Pochi filari per la bisogna della famiglia o meglio del solo capo-famiglia. Tali terreni adatti alla pianta cara a Bacco, veniva chiamata pastini(dal nome della grossa zappa, detta di vigna). Una denominazione che ha dato vita ad una vera e propria contrada, a Nord del paese, denominata, appunto, Pastini..Come si svolgeva la giornata del contadino montano è presto detto. Ogni cuzze la mattina si alzava ben presto, prendeva l’asino dalla stalla-risotto(di sotto) e, dopo avergli messo il basto e tirando pian piano l’animale con la cavezza, raggiungeva a piedi la Croce in ferro di San Rocco ((testimonianza della venuta dei passionisti nel 1907). E questo per far salire in groppa facilmente tramite i suoi variegati gradini in pietra, se stesso, la moglie o qualche altro minore o anziano. Al ritorno, si ripeteva la medesima funzione, ma nello scendere e tornare a casa. Tale Croce fu rimossa una quarantina di anni fa, non si sa perché e per come. La stessa tuttora si erge su uno strapiombo del Belvedere Est, ormai invisibile e soprattutto arrugginita.
C’è chi aspira ad un ripristino del monumento nella predetta Piazza di San Rocco. I contadini con il loro lavoro certosino tenevano i campi come giardini floridi, ornati di alberi da frutti di ogni tipo e ben curati. Come accennato, indipendentemente dall’estensione ogni fondo teneva il suo pagliaio in pietra, la cisterna o il “pilone” della riserva d’acqua. Dagli anni ’50 ai giorni nostri la montagna si è spopolata e i fondi abbandonati con deperimento completo della sua economia.
Il termine “Cuzze”, secondo alcuni, deriverebbe dalla parola“cuzze” o cuzzetto della zappa o dell’accetta, attrezzi indispensabili dei contadini.
Altri lo fanno risalire ad un tipico di pasta fresca di gran turco, che essi mangiavano con avidità. Altri ancora alla statura bassa e tarchiata degli addetti ai lavori, ridotti a tale stato dal lavoro duro e dallo scarso vitto. Non a caso nel Mezzogiorno, la statura media a quei tempi si aggirava mediamente attorno al metro e cinquanta. Altresì, il termine si avvicina all’immagine – significato del pezzo di legno più corto usato nel gioco “Mazza e cuzze” di sammarchese memoria, denominato in rignanese “mazzaridde”. Gioco, come tanti, a quei tempi abbastanza in voga, per via della povertà estrema, allorché ad ogni necessità bisognava intervenire con la fantasia e l’arrangiamento. La dice lunga, tra l’altro, in proposito il film “Ladri di Bicicletta” di Vittorio De Sica (1948). Talvolta il mestiere di “cuzze” lo si tramandava di padre in figlio ed impegnava intere famiglie, note ancor oggi in luogo con il loro tipico soprannome: Pesatùre(Di Claudio); Capetone(Resta) ; Saziamurte(Vincitorio); Marescialle(Danza); Carbone(idem); La Crapètte(Resta); Malechiogne(Carfagna); Cacciafume(idem, Gianfelice); Giuvannidde(Del Vecchio); Zhonne (Limosani), Scheppone, La Chucchière(Tusiani), Lu Mascjale(Limosani), Chiagnelavècchjie, La vicchiarèdde(Soccio) e tanti altri ancora. Altre volte ancora, i cuzze, rafforzavano il nome alla zona da essi posseduta o frequentata. Esempio su tutti: Lu Cuzze de Cammenecàle(di origine sammarchese), quello di Lucite, di Centepuzze, di Stancavacche, ecc. C’erano, poi, i cuzzeche lavoravano sodo nelle vicinanze del paese, per lo più a mantenere orto, come: Sfasciajorne(Gaggiano); Rubbine(Bergantino); Zurre(Nisi), La luparèdde; Mariannine(Cella); Vardine, La Vignole(entrambi Coco e Cuoco). Sui cuzzedi Rignano se ne dicevano di cotte e di crude dai paesi vicini del Gargano. S’ironizzava sulla loro semplicità e schiettezza, scambiandola talvolta con la semplicioneria.
Addirittura i Sammarchesi avevano inventato addirittura una sorta di racconto-barzelletta, prendendone lo spunto da Lu Trajionedi Francesco Paolo Borazio, poeta e scrittore dialettale di fama nazionale. Così che fu creato per i Rignanesi Lu ‘Ndravone inte la macchje’ ossia il Dragone nella macchia. E ciò, per ironizzare sul fatto che mentre i contadini sammarchesi si erano spaventati per la presenza in zona di un Dragonevero (per modo di dire), quelli del paese vicino addirittura per un innocuo barilotto, che, mosso dal vento, di tanto in tanto dondolava , emettendo strani rumori per via dell’acqua che teneva dentro. Il tutto custodito sotto le fresche-frascheper la bisogna Ma di questo e di più si dirà a parte.